La Cattedrale della SS. Trinità sarà riaperta al culto dei fedeli il pomeriggio di DOMENICA 26 MAGGIO 2024, festa liturgica della SS. Trinità.
S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni, Arcivescovo Metropolita di Campobasso-Bojano insieme a S. Ecc. Mons. GianCarlo Maria Bregantini, vescovo emerito, il Capitolo della Cattedrale, la Parrocchia di Santa Maria Maggiore nella Cattedrale, i presbiteri, diaconi, religiosi/e, annunciano con grande gioia che la Cattedrale della SS. Trinità sarà riaperta al culto dei fedeli il pomeriggio di DOMENICA 26 MAGGIO 2024, festa liturgica della SS. Trinità.
Con l’occasione si desidera ringraziare tutti coloro che a diverso titolo, hanno lavorato e collaborato fattivamente perché potesse giungere questo giorno: la Presidenza della Giunta Regionale Molisana, la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio del Molise, l’Ufficio Tecnico Diocesano, i progettisti, il RUP, i tecnici, le restauratrici, le imprese e i benefattori che hanno contribuito con le loro offerte.
“Tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri.”
(Sacrosanctum Concilium 41)
La riapertura della Cattedrale è un evento da vivere insieme alla comunità ecclesiale, diocesana e cittadina per pregare e ringraziare il Signore.
PROGRAMMA
Sabato 25 maggio alle ore 19.15 adorazione eucaristica nella Chiesa S. Maria della Croce in Campobasso.
Domenica 26 maggio alle ore 18.00 sul sagrato, il Rito di riapertura della Chiesa Cattedrale SS.ma Trinità presieduto da Sua Eccellenza Mons. GianCarlo Maria Bregantini, Arcivescovo Emerito di Campobasso-Bojano.
Ore 18.30 nella Chiesa Cattedrale, il Solenne Pontificale presieduto da Sua Eccellenza Mons. Biagio Colaianni, Arcivescovo Metropolita di Campobasso-Bojano.
Una manifestazione autentica di grande spiritualità sentita e coltivata.
San Giorgio, patrono della città di Campobasso, è radicato nel cuore e nella mente della gente del capoluogo.
Nella Chiesa di San Giorgio, alle ore 17.00 la solenne celebrazione animata dal Coro Parrocchiale, presieduta da S.E. Mons. Biagio Colaianni, dai Sacerdoti della Città, con i Diaconi, i Religiosi, le Religiose, i Gruppi ecclesiali, le Autorità civili e militari, e con il popolo fedele.
A seguire la Processione del Santo Patrono per le vie principali della Città, con le soste a Palazzo S. Giorgio per il Saluto del Sindaco e per la Benedizione del Vescovo alla Città, e davanti alla Chiesa di S. Leonardo per una preghiera nel Centro Storico.
La figura di San Giorgio è legata alle radici storiche della città di Campobasso è una festa suggestiva capace di unire tutti.
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Venerdì 25 gennaio 2019, alle ore 11:30, presso la Sala Stampa “A. Romita”, in via Mazzini, 76 a Campobasso (palazzo vescovile) si terrà una Conferenza Stampa per presentare la “Marcia della Pace e della Solidarietà” promossa dall’arcidiocesi di Campobasso –Boiano in collaborazione con la pastorale diocesana sociale del lavoro e la Scuola di Formazione socio politica “G. Toniolo” di Campobasso. Saranno illustrati i temi e l’itinerario della marcia con le soste più significative.
Interverrà S.E. mons. GianCarlo Bregantini,arcivescovo di Campobasso – Boiano
La buona politica è al servizio della pace». A partire dal tema di papa Francesco sulla 52^ Giornata Mondiale della Pace, Solidarietà e Pace sono i temi portanti della Marcia della Pace nella città di Campobasso che avrà luogo domenica 27 gennaio 2019 a Campobasso.
Mons. GianCarlo Bregantini arcivescovo di Campobasso – Boiano
Dai
Social alla Piazza, ossia l’arte del comunicare, è il titolo dalla
riflessione dell’arcivescovo Metropolita di Campobasso – Boiano e giornalista,
S.E. mons. GianCarlo Bregantini. Il messaggio del vescovo è dedicato al mondo
dell’informazione, in occasione della
festa di san Francesco di Sales (24
gennaio). La riflessione interpreta e racchiude l’input di Papa Francesco sul
tema per la 53^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che, quest’anno, si
celebra, il 2 giugno 2019. «Dalle
community alle comunità» per esprimere il desiderio di fare comunità tra la
rete digitale e la rete umana. Operare nel campo della comunicazione osservando
la buona pratica della condivisione per mezzo dei social media ma anche coltivando le relazioni tra le persone. L’informazione
come opportunità di bene, di speranza e di riconciliazione e non ostilità e
contrapposizioni.Dai Social alla
Piazza, perciò, per stare in contatto con gli altri, curare le relazioni,
condividere progetti. Per un‘etica del linguaggio e rafforzare il servizio
della persona, per promuovere messaggi educativi e far «crescere nel mondo la
Pace».
«Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle community alle comunità»
«Questo il tema che Papa Francesco
ha scelto per la 53aGiornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
di quest’anno. Interessante e provocatorio nell’era del digitale. In fondo il
Papa ci vuol dire che bisogna vivere questo passaggio fondamentale: dalla
piazza virtuale a quella reale della propria città. Solo così la società non
perderà il suo volto umano.
“Dal cuore alle mani”, è sempre stato lo slogan del patrono dei giornalisti, san Francesco di
Sales. Una figura dalla quale possiamo ancora oggi trarre qualche esempio
fondamentale per fare della comunicazione un’arte. Cioè davvero l’unico modo
reale per incontrarci, volto nel volto, cor ad cor, cioè cuore a cuore. Un’esortazione che ci aiuta ad
oleare il motore delle nostre relazioni, specie quando le viviamo come un
incaglio, un impedimento che frena e ci impedisce di guardare fin nel profondo
di quanto sta accadendo. Da qui spesso l’insorgere di incomprensioni che poi
diventano divisioni. Senza più dialogo.
E per tornare a questo santo predicatore del XVI secolo (1567-1622), è
bello evidenziare l’aneddoto che lui raccontava nell’educare le anime ad una
vita di fede e di vera socialità. Narrava infatti che nella natura le vespe, al
contrario delle api, succhiano il nettare dai fiori ma non lo trasformano in
miele ma in veleno. Una metafora che ci fa da monito. Soprattutto a quanti
esercitano la professione di comunicatori e giornalisti. Dai fatti e dalle
storie di vita dobbiamo riuscire a fare nostro il lavorio delle api, piuttosto
che quello delle vespe, creando, con l’informazione data, parole che
costruiscano ponti e non muri.
Opportunità di bene, di speranza
e di riconciliazione e non ostilità e contrapposizioni.
L’arte del comunicare egli l’aveva imparata ogni giorno, già dal suo
crescere. Infatti, aveva uno sguardo europeo: nasce in Savoia, studia a Parigi,
si specializza a Padova dove resta per ben tre anni, diventando esperto in
materie giuridiche. Poi, frequenta ambienti difficili. Era infatti teso il
clima sociale e religioso del tempo. Dominava il calvinismo, in uno stile
agguerrito e sfidante. Ebbene, san Francesco vi si innesta con saggezza. Se era
difficile parlare in modo diretto, perché gli eretici lo scansavano e lo
osteggiavano, egli sapeva però che nel cuore di ciascuno, anche dei nemici,
restava sempre un angolo di speranza. Ed eccolo, allora, scrivere foglietti,
spedire lettere aperte e belle, utilizzare spazi di dialogo inatteso.
Il suo metodo era appunto questo:
si mediti prima per sé quello che si vuole dire agli altri! Proprio per questo, è il patrono dei giornalisti. Perché ha messo al centro la verità,
detta però non con lo stile dell’arroganza, ma dell’umiltà e della semplicità.
Che rende poi reali e amabili le cose che dici! Con le sue famose tre regole
d’oro: capacità di sintesi; acutezza ed
espressività. Cioè, far vibrare le cose che dici. Perché quello che tu dici
entrerà veramente nel cuore dell’altro, solo se esce prima dal tuo cuore!
Celebre è poi la sua amicizia con la giovane Giovanna di Chantal, con
la quale intrattiene un piacevole Epistolario nel quale i due condividevano un
cammino fortemente unitivo nell’amore spirituale. Ciò che colpisce è la
profondità di quanto si dicono, che diventa poi luminoso specchio della grazia
e dell’amore di Dio in loro.
Volentieri, oggi, inviterei i
nostri politici a leggere queste pagine. Forse anche il loro linguaggio, spesso duro e
offensivo, si trasformerebbe in miele piuttosto che in veleno. Per diventare
api e non vespe, così da accostarsi al fiore del futuro con dolcezza e non con
asprezza».